Uno dei più grandi problemi relativi alle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili riguarda il deterioramento delle strutture nel tempo. In realtà qualsiasi attrezzatura atta a produrre energia elettrica (mi vengono in mente le classiche centrali termoelettriche) ha bisogno di adeguati interventi di manutenzione per garantire un corretto funzionamento dell’impianto.
Quando si parla però ad esempio di pannelli solari e turbine eoliche, i problemi sono più complicati: infatti, dovendo essere localizzati all’aria aperta sono soggetti ad ogni evento climatico che colpisce la zona dove sono fissate. Oltre ad esempio alle intemperie, cicloni e fulmini, queste strutture accusano nel tempo anche la sola presenza di sole e quindi di caldo, ma anche di vento, pioggia e tutto ciò che può compromettere sul lungo periodo le componenti principali. Senza contare che ad ogni ciclo di produzione, per le turbine eoliche ogni qualvolta compiono una rotazione completa intorno al proprio asse, perdono una minima parte di flessibilità e quindi di efficienza, che a lungo andare ne pregiudica le prestazioni.
Investire in questo tipo di tecnologie significa credere in un futuro più ecologico, ma anche spendere una grande quantità di denaro. Uno dei punti chiave per valutare la qualità dell’investimento (quindi del tempo di ritorno delle spese previste) risulta quindi essere il tempo di durata dell’impianto.
Secondo uno studio di qualche anno fa promosso dall’Imperial College School of Business di Londra e condotto tramite dati provenienti dalla Nasa (quindi decisamente attendibili), la durata media di vita delle turbine eoliche, prima che queste abbiano bisogno di interventi di manutenzione massiccia, è di circa 25 anni. Alla fine della loro vita, tra l’altro, circa il 90% del materiale utilizzato per la costruzione può essere riciclato e riutilizzato.
Come può un rivestimento in carbonio ridurre l’usura delle turbine eolice?
Un’interessante scoperta per aumentare la resistenza all’usura delle pale e quindi la loro vita utile, è avvenuta per caso all’Argonne National Laboratory (Illinois, Stati Uniti). Il team di ricercatori che ha avuto questa fortuna, stava comunque lavorando allo scopo di minimizzare il deterioramento del materiale costituente le pale (acciaio, in quelle più moderne e costose alluminio), ricercando nuovi tipi di lubrificanti in grado di ridurre l’attrito dell’aria sulle componenti. Quello che hanno scoperto rivestendo con un coating o “cappotto” in carbonio, denominato N3FC, le diverse componenti di una turbina, ha di che stupirsi: nel corso dei loro esperimenti i ricercatori sono rimasti sorpresi dai risultati perché si aspettavano un deterioramento del materiale, causato dalle sollecitazioni meccaniche a cui sono sottoposte le turbine. Il rivestimento ha invece retto a oltre 100 milioni di cicli di prova senza mostrare segni di usura. E 100’000’000 di cicli sono un numero davvero impressionante!
Gli stessi scienziati non hanno compreso esattamente il meccanismo di cui sono stati gli scopritori. Solitamente la durata della vita delle componenti è legata a rivestimenti più duri, che attenuano i danni dell’usura. In questo caso però il rivestimento è meno duro rispetto alla base in acciaio.
Ad oggi, come dicevamo, uno dei maggiori costi che un imprenditore deve prevedere quando ha intenzione di investire in un parco eolico è la manutenzione. Le pale sono infatti soggette a rompersi in superficie per colpa di fessure che si creano a causa del continuo attrito che devono subire scontrandosi con l’aria; quando il metallo è stato intaccato in questo modo, non c’è altro da fare se non interrompere il funzionamento della turbina (perdendo giorni di corretta produzione di energia elettrica) e programmare costosi interventi di riparazione.
Questa soluzione si adatterebbe in particolar modo alle turbine eoliche offshore. Oltre a tutte le componenti climatiche in grado di erodere le diverse parti delle turbine su terraferma, quelle localizzate in mare hanno il problema di doversi confrontare ogni giorno con la forza distruttiva dell’acqua salata, che le rende ancor meno resistenti nel tempo. Dati recenti sottolineano l’importanza del mercato delle turbine offshore in Europa: la capacità eolica totale copre ora 11,4% del fabbisogno di energia elettrica europea. Un numero sicuramente non trascurabile, e che potrebbe aumentare nel caso si verificasse il buon funzionamento del rivestimento in carbone.
Inoltre in Danimarca, il centro di ricerca LM Wind Power Technology di Kolding, sta mettendo a punto un ulteriore tipo di rivestimento basato sull’utilizzo del poliuretan0, un particolare tipo di polimero che è allo stesso tempo compatto, elastico e flessibile. Insomma la ricerca è l’unico metodo che abbiamo per migliorare ulteriormente le tecnologie in nostro possesso, sperando che un giorno possano soppiantare in termini di costi e produzione i vecchi impianti fossili.
Tocca adesso alle compagnie energetiche testare direttamente sul campo questa tecnologia, in modo da verificare se gli esperimenti di laboratorio nella galleria del vento possono essere comparati alla situazione reale a cui sono sottoposte le pale delle turbine ogni qualvolta girano per produrre energia!