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La foresta amazzonica è la più grande foresta pluviale della Terra. Si estende nel continente sud americano tra Brasile, Perù, Colombia, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana e Suriname, per un totale di circa 7 milioni di chilometri quadrati (all’incirca 20 volte il territorio italiano).
La sua vegetazione si è espansa enormemente grazie alle condizioni calde e umide offerte dal bacino idrografico del Rio delle Amazzoni e dei sui numerosi affluenti: da sola, costituisce più della metà di tutte le foreste pluviali ancora esistenti sulla Terra (le altre sono quelle del Borneo e del Congo, la cui somma ha un’estensione minore dell’Amazzonia).
Ospita la maggiore biodiversità della Terra e ci sono più specie di piante e animali che altrove nel mondo: vi vivono 16 mila specie di piante, 1300 specie di uccelli (si pensa che un quinto di tutti gli uccelli del mondo viva qui), circa 400 specie di mammiferi, un valore che vale anche per i rettili e per gli anfibi e, addirittura, è stato stimato che in ogni singolo albero vivano 400 tipi di insetti diversi, per un totale di circa 100 mila specie di invertebrati; tutti questi valori sono stime che vengono aggiornate quasi di giorno in giorno considerata l’enorme quantità di specie viventi che abitano i più remoti angoli della foresta e che finora sono sfuggiti all’occhio umano.
Per rendere meglio l’idea, riportiamo un dato WWF secondo il quale tra il 2014 e il 2015 sono state scoperte 381 nuove specie, tra cui: 216 nuove specie di piante, 93 di pesci, 32 di anfibi, 20 di mammiferi (di cui due fossili), 19 di rettili e una nuova specie di uccelli.
Il particolare clima della regione amazzonica viene minuziosamente regolato dalla foresta stessa. Parliamo di un clima umido equatoriale con temperature (media annuale attorno ai 26°C) e umidità relativa (83%) elevate.
Le numerose e copiose piogge sono provocate dall’umidità della foresta e dalla presenza di numerosi fiumi (primo fra tutti, il Rio delle Amazzoni) che garantiscono una continua formazione di nuvolosità carica di vapore acqueo.
I problemi della deforestazione in amazzonia.
Da questa descrizione climatica è palese che i fenomeni di auto-combustione (seppur comunque presenti) non possono essere la ragione dei numerosi incendi che tormentano questa particolarissima regione della Terra.
Il 20% dell’intera foresta è stato irrimediabilmente distrutto e, solamente nel periodo tra agosto 2017 e luglio 2018, la parte di foresta che si trova in territorio brasiliano si è ridotta di circa 8 mila chilometri quadrati, una superficie corrispondente a oltre un milione di campi da calcio.
Questa deliberata opera di deforestazione è dovuta alle impunite mani dell’uomo che bruciano ettari di foresta per dar spazio a nuove colture, a nuovi pascoli e a nuove aree per lo sfruttamento minerario (considerata l’enorme quantità di vegetazione, la regione è particolarmente ricca di carbone).
Questa opera di vera e propria distruzione è iniziata a partire dagli anni quaranta del novecento, quando i governi della regione hanno deciso di sfruttare le risorse forestali e minerarie.
La deforestazione permette, infatti, la vendita e l’esportazione del legname, che può risultare molto pregiato, l’aumento di terreno per l’agricoltura, di cui si sente un forte bisogno per via della crescita della popolazione, e lo sfruttamento di giacimenti minerari.
Nel corso degli anni sono state costruite anche numerose autostrade per collegare grandi città, che non solo sono state fonti primarie di deforestazione ma hanno anche incoraggiato le costruzioni di nuovi villaggi lungo di esse, peggiorando il problema.
Oltre a danni sulla flora dell’Amazzonia, l’azione incendiaria dell’uomo minaccia anche la fauna della foresta: infatti, mentre il numero di nuove specie scoperte aumenta, si sospetta l’estinzione di specie già scoperte o non ancora scoperte.
Un caso è quello dell’Ara di Spix, un uccello che viene considerato praticamente estinto in natura perché si stima che, ad oggi, sia presente solo qualche esemplare isolato. Inoltre, la biodiversità e in generale il ruolo della foresta amazzonica dal punto di vista biologico ed ecologico sono minacciati dal commercio illegale di specie protette.
In sostanza, l’uomo, come suo solito, considera il pianeta Terra come il suo parco giochi, il suo personale circo o zoo, dove, pur di portare avanti il suo business, tutto è permesso.
“S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo”
Ma torniamo agli incendi.
Nei primi 8 mesi del 2019, secondo l’INPE (l’istituto nazionale brasiliano per le ricerche spaziali) e la NASA, nella regione amazzonica si sono sviluppati circa 83 mila incendi, un numero che rappresenta il dato più alto della decade e probabilmente il secondo più alto in assoluto dal 2000 (secondo solo a quello del 2005 dove nei primi 8 mesi dell’anno si sono registrati almeno 133 mila incendi).
La regione di foresta che si trova in territorio brasiliano è quella più vittima di incendi. L’attuale presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, ha espresso più volte la sua “favorevolezza” alla deforestazione dando, quindi, la tacita autorizzazione ad appiccare più incendi del solito.
Gli incendi, oltre ai sopracitati danni, ne apportano altri che riguardano la salute dell’intero pianeta.
Il professor Giacomo Gerosa, docente di Ecofisiologia presso l’Università Cattolica, afferma: “L’Amazzonia è il più grande serbatoio di carbonio organico terreste; insieme alle foreste pluviali del Borneo e del Congo racchiude il 71% del carbonio organico di tutta la Terra. […] Gli incendi fanno in modo che questo carbonio si trasformi in CO2 e venga direttamente rilasciato in atmosfera.
La foresta si trasforma quindi in un emettitore di anidride carbonica, il che va ad aggravare l’effetto serra e il riscaldamento globale. Un ettaro di foresta pluviale che brucia è in grado di rilasciare in atmosfera ben 850 tonnellate di CO2. Considerando che nel solo mese di luglio 2019 sono stati incendiati in Amazzonia 225 mila ettari di foresta pluviale, la quantità di CO2 emessa dalla foresta brasiliana in un mese è più di un terzo di quella che l’intera nazione italiana riversa in atmosfera in un anno.
Si tratta dunque di una quantità ingente di gas clima-alteranti, oltre che di gas e particelle inquinanti, che andranno ad avere conseguenze globali“.
La combinazione di riscaldamento globale e deforestazione rende il clima regionale più secco e potrebbe stravolgere il delicato equilibrio climatico della foresta pluviale trasformandola parzialmente in una savana e andando, quindi, a modificare un territorio dalla particolarissima biodiversità, per sempre.
La foresta amazzonica è il polmone verde del mondo: sì o no?
Tra le critiche che più spesso vengono mosse contro la deforestazione dell’Amazzonia c’è senza dubbio quella relativa alla capacità della foresta di produrre ossigeno tramite la fotosintesi clorofilliana. In realtà, su questo aspetto va fatta un po’ di chiarezza.
Avrete sicuramente sentito dire che la foresta amazzonica produce il 20% dell’ossigeno che respiriamo. Ebbene, quella del 20% è una percentuale piuttosto arbitraria, anche perché è difficile stimare con precisione quanto ossigeno sia prodotto da una foresta (soprattutto di tali dimensioni) e quali siano le oscillazioni di anno in anno nella produzione, a seconda di numerose variabili.
Al netto di queste incertezze, una stima più verosimile si attesta a poco meno del 10% di tutto l’ossigeno presente nell’atmosfera. Inoltre, parlare di solo ossigeno prodotto non ha molto senso perché le piante, essendo essere viventi come noi, “respirano” e, quindi, ne consumano una certa quantità durante la loro vita andando, sempre come noi, a produrre CO2.
Fortunatamente per l’uomo e per gli altri organismi aerobi, il bilancio complessivo è in positivo per l’ossigeno: in sostanza, le piante immagazzinano più anidride carbonica nella fotosintesi di quanta ne producano con la respirazione consumando ossigeno.
La parte di carbonio che viene esclusivamente assorbita viene immagazzinata nel legno interno e non viene liberata fino a quando la pianta muore e si decompone: nel caso di incendio, tale processo avviene prematuramente e si liberano, in maniera repentina e concentrata, grandi quantità di CO2.
Allora, la foresta amazzonica non è il “polmone verde” della Terra?
In sostanza no e non lo è mai stata. La maggior parte dell’ossigeno che si trova in atmosfera viene prodotto, strano ma vero, negli oceani: è il processo di fotosintesi del fitoplancton che garantisce al pianeta buona parte dell’ossigeno necessario.
Il mondo non sarà più lo stesso
Ovviamente non è l’essere o meno il “polmone verde” del Terra a rendere ingiustificabile la deforestazione dell’Amazzonia. I problemi sono altri, numerosi e gravi.
Il bagaglio floreale e faunistico di questa regione del mondo, inestimabile e irripetibile, che in tutti questi anni si è auto gestito dando all’uomo il solo “onere” di preservarlo, è fortemente minacciato dagli incendi.
Nel giro di pochi decenni potremo essere costretti a classificare numerose specie di piante e di animali come definitivamente estinte. Di una delle foreste più folte e rigogliose del mondo potrebbe restarci solo il ricordo e una spoglia savana.
L’anidride carbonica immessa in atmosfera durante gli incendi e tutta quella che non viene più assorbita dalle piante ormai arse sono due problematiche che andranno ad ingigantire l’effetto serra e il riscaldamento globale, dando la definitiva spinta verso un mondo sempre più afoso e climaticamente instabile.
Insomma, la foresta amazzonica è una delle ultime risorse naturali che siamo ancora in grado di proteggere, ma bisogna intervenire subito. In questo mondo fatto di business bisognerebbe pagare l’affitto per questo patrimonio dell’umanità, pagare per tutto quello che rappresenta a livello naturalistico e ambientale, pagare per mantenerla così com’è, come solo Madre Natura poteva realizzarla.