Sommario Contenuti
La città di Taranto, la “signora del mare”, la sua storia e il suo turismo sono ormai inequivocabilmente legati anche alla storia dell’Ilva e ai drammatici fatti di cronaca che da alcuni anni costellano programmi televisivi e giornali.
L’Ilva è un’industria siderurgica a ciclo integrale (si occupa cioè di tutti i processi che dal minerale portano al materiale utile alla vendita), fondata nel 1961 sulle ceneri della dismessa Italsider e si occupa prevalentemente della produzione e della relativa lavorazione e/o trasformazione dell’acciaio.
Quest’enorme fabbrica costituisce il maggior complesso industriale per la lavorazione di acciaio attualmente presente in tutta Europa. Esistono anche diversi sedi in Liguria, Piemonte, Veneto e Lazio.
Secondo i dati emersi dalle statistiche, nel 2011 l’Italia era l’undicesimo paese per la produzione d’acciaio, contando circa 28 milioni di tonnellate all’anno prodotte.
Di questi 28 milioni, l’Ilva, da sola, produceva circa 9 milioni di tonnellate all’anno, cifra ben più che ragguardevole.
Questi risultati erano principalmente dati dai cinque altoforni, ciascuno alto circa 40m, con diametro tra i 10m e i 15m in cui si produceva la ghisa.
Il caso e le inchieste giudiziarie
Lo stabilimento e tutte le sue proprietà sono, dal 2012, oggetto di una grande inchiesta e vi sono numerosi eventi giudiziari per i quali sono state ipotizzate le accuse di:
- Disastro colposo
- Disastro doloso
- Avvelenamento di sostanze alimentari
- Omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro
- Danneggiamento aggravato di beni pubblici
- Getto e sversamento di sostanze pericolose
- Inquinamento atmosferico
Il caso giudiziario è stato avviato in seguito alle due perizie, una chimica e l’altra epidemiologica (quindi legata al contesto sanitario) depositate presso gli uffici della Procura della Repubblica di Taranto, terra in cui si muore di tumore più che nel resto del nostro paese.
Nel 2012 il Ministero della Salute ha condotto due studi nei siti di interesse nazionale (i cosiddetti SIN) per confrontare malattia e mortalità causate dalle diossine emesse nel periodo dal 1995 al 2002 e, successivamente, in quello dal 2003 al 2009, ma i dati dello studio sono sensibili.
Le diossine sono polveri sottili molto aggressive e penetranti che vengono disperse in atmosfera e trasportate dai venti (per intenderci sono le polveri rosse che accompagnano le immagini della fabbrica nei servizi televisivi).
In particolare, tuttavia, spiccano nella città di Taranto i casi di tumori alla pleura attribuiti in prima battuta all’amianto utilizzato per le coibentazioni nel porto marino e, in seguito, anche alle emissioni dell’Ilva.
I casi di carcinoma risultano essere in eccesso del 350% per i maschi e del 200% per le femmine, con un relativo tasso di mortalità molto elevato.
Attualmente, qual è la situazione dell’Ilva?
Per quanto l’Italia abbia cercato di mantenere la riservatezza sul caso tarantino e abbia, spesso e volentieri, taciuto le reali condizioni in cui tergiversano gli abitanti della città pugliese (e delle città limitrofe), appare ormai evidente che non si possa più nascondere all’Unione Europea il gravissimo danno causato dagli impianti.
La Commissione europea ha imposto un dimezzamento (non avvenuto) delle emissioni di diossina dell’impianto di agglomerazione che doveva avvenire entro l’8 marzo 2016.
Tale prescrizione prevedeva l’abbassamento del limite emissivo del camino E-312 (la cui portata è superiore a ogni altro camino europeo) da 0,3 a 0,15 ng/m3.
Per questa motivazione e per altre opere di bonifica del territorio non ancora realizzate, l’Europa sta valutando la possibilità di estendere il prestito ponte di 300 milioni di euro concesso all’Ilva, oltre a quello di 800 milioni di euro su cui si era orientata la lente di ingrandimento dell’UE già inizialmente.
Tuttavia è la Commissione stessa che evidenza delle criticità: per prima cosa non vi è il piano di bonifica (sia interno alla fabbrica che del territorio) che era stato prescritto quando erano stati stanziati i finanziamenti.
Non sono state messe in sicurezza le falde e i fondali che lo stabilimento ha usato per anni come discarica, depositando una concentrazione di inquinanti troppo elevata e del tutto fuori controllo.
Inoltre, cosa molto più grave, è stata rimandata fino a data da destinarsi l’opera di bonifica dei pascoli: gli animali possono pascolare liberamente addirittura in aree a 20 km dall’Ilva, ingerendo contaminanti che a nostra volta mangiamo.
Ad aggravare la situazione vi sono i dati sanitari non chiari, ma vi è la certezza che a Taranto vi è un tasso di mortalità per carcinoma polmonare ben sopra alla media della altre città.
Pertanto sorge quasi spontanea una domanda, la stessa che l’Europa pone al governo: come mai i soldi stanziati non sono stati utilizzati per la riqualificazione ambientale, così come doveva essere previsto?
E allora si vede, tristemente ed ingiustamente, una terra magnifica e ricca di storia, non essere celebre per la sua bellezza, non poter trarre un vanto da quel mare blu che l’accarezza, ma divenire culla di morte, malattia, inchieste, nefandezze e sporcizia e venir annoverata tra le città in cui è troppo pericoloso vivere, perché non si sa che cosa si respira.