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La geotermia a bassa entalpia o GCHP (Ground Coupled Heat Pump) è una tipologia di energia che sfrutta il calore presente negli strati del sottosuolo terrestre per la climatizzazione degli edifici.
Gli impianti più semplici, a partire dal basso verso l’alto, sono così composti:
- dai 50 ai 150 metri di profondità sotto terra, si trova la sonda geotermica, che analizza i dati di temperatura, pressione e volume delle rocce che contengono il calore che interessa per la produzione di energia termica;
- la pompa di calore si trova pochi metri sotto l’abitazione ed è l’effettivo strumento che permette il trasferimento di energia quando serve;
- il serbatoio per l’accumulo d’acqua (calda o fredda, a seconda che sia inverno o estate) posto vicino alla pompa di calore, serve per integrare la possibile mancanza di elettricità che non permetterebbe alla pompa di funzionare, consentendo quindi la continuità del flusso di calore;
- il pavimento radiante all’interno dell’edificio è composto da diversi tubi in cui passa il fluido climatizzante, permettendo sin dal primo strato abitativo un piacevole comfort;
- le tubazioni per l’acqua calda sanitaria sono disposte in tutte le stanze che necessitano di questo elemento; sono all’interno delle murature e quindi non recano alcun danno visivo e non rubano spazio.
Andando più nel dettaglio possiamo analizzare le differenti forme di energia geotermica a bassa entalpia, che si classificano come non derivanti da anomalie geotermiche e derivanti da anomalie geotermiche positive:
Energia geotermica non derivante da anomalie geotermiche
Per energia geotermica non derivante da anomalie geotermiche si intende il calore presente all’interno della crosta terrestre sfruttabile per la produzione di energia termica; è una fonte rinnovabile vera e propria ed è più frequente delle anomalie geotermiche. Si differenziano due diversi utilizzi:
- l’uso diretto (pre-riscaldamento o pre-raffreddamento dell’aria di ventilazione, temperature di 15-20 gradi centigradi). L’aria di rinnovo viene prelevata dall’esterno e inviata all’interno di condotti orizzontali interrati ad una profondità tra 1 e 2 m; in inverno viene pre-riscaldata e in estate viene direttamente immessa in ambiente o pre-raffrescata e successivamente inviata ad un’unità di trattamento dell’aria.
- l’uso indiretto, anche detto geoscambio, consiste, in inverno, nell’impiego di pompe di calore che servono per portare l’energia sottratta dal terreno, da una temperatura solitamente intorno a 12-15°C, a temperature utili per il riscaldamento, mentre d’estate l’impiego di macchine frigorifere o pompe di calore reversibili serve per il condizionamento estivo, immettendo nel terreno il calore rimosso da un condensatore.
Per la costruzione di questi impianti si utilizza una speciale trivella per pozzetti verticali, nel caso in cui l’impianto si voglia far estendere in direzione verticale sotto il terreno oppure vengono adoperate delle serpentine a sviluppo orizzontale quando è più difficile scendere troppo sotto il livello del suolo (bastano pochi metri di profondità).
In funzione della profondità del terreno, esiste uno sfasamento e una riduzione delle fluttuazioni stagionali di temperatura del suolo rispetto quelle dell’aria, a causa della sua capacità termica più alta; di conseguenza il terreno diviene una sorgente termica più calda dell’aria esterna in inverno e più fresca in estate. E’ più caldo quando noi abbiamo freddo ed è più fresco quando siamo accaldati, perfetto! Inoltre, grazie a questa particolarità, le efficienze delle macchine sono migliori ed il vantaggio maggiore è in termini di costi di gestione. In pratica più sono simili le temperature del terreno e quella che si vuole ottenere all’interno dell’edificio, minore sarà il costo di realizzazione delle sonde di scambio.
Energia geotermica derivante da anomalie geotermiche
L’energia geotermica derivante da anomalie geotermiche positive, invece, sfrutta i fluidi fuoriuscenti dal terreno (zone termali) solamente a scopi diretti: per la produzione di energia elettrica (temperature maggiori di 250 °C) e per la produzione di calore (temperature da 50°C a 100 °C, ad esempio è il caso del teleriscaldamento).
Un’altra classificazione riguarda la tipologia di impianto a cui può essere accoppiata la pompa di calore:
- a circuito chiuso: si tratta di impianti accoppiati con il terreno attraverso un sistema di tubazioni estese in orizzontale, verticale o a spirali, al cui interno scorre il fluido termovettore;
- circuito aperto: sono impianti che utilizzano l’acqua di pozzo o di falda come fluido, con re-immissione dell’acqua nella falda stessa o in fognatura dopo l’uso;
Facciamo ora un’analisi energetica di confronto, anche attraverso dei dati numerici, tra un impianto consistente in una pompa di calore e un impianto di riscaldamento invernale che utilizza una caldaia tradizionale:
Con un COP medio di 3.8 (Coefficiente Di Prestazione), una pompa di calore è in grado di produrre 100 kWh di calore tramite 27 kWh di elettricità. In Italia servono 59.4 kW di energia primaria per produrre 27 kWh elettrici e quindi per produrre 100 kWh di calore. Il rendimento, rispetto all’energia primaria spesa, è 100/59.4 = 168%. La quota di calore considerata rinnovabile è Qu – W = 100 kWh termici – 27 kWh elettrici = 73 kWh.
Una caldaia a gas naturale con rendimento medio dell’ 85% richiederebbe un’energia primaria di 100/0.85 = 117 kWh per produrre la stessa quantità di calore della pompa di calore. Il rendimento è in pratica la metà rispetto alla pompa di calore.
E voi, dopo aver letto questi dati, quale delle tue tecnologie scegliereste?