La produzione di energia elettrica sfruttando l’energia proveniente dal Sole interessa tutti noi. Da quando è stato scoperto l’effetto fotoelettrico, che permette di trasformare i quanti di energia chiamati fotoni in cariche elettriche, la ricerca di avanzate tecnologie per migliorare sempre più l’efficienza dei sistemi di conversione è in costante evoluzione.
Se una cella fotovoltaica riesce a trasformare in energia elettrica circa il 30% dell’energia primaria del Sole, si capisce facilmente quanta ne viene sprecata a causa delle perdite di distribuzione delle cariche all’interno della cella stessa e per la trasformazione in calore di parte dell’energia (che inoltre surriscalda il componente, riducendo il suo tempo di vita utile).
Molte soluzioni sono in fase di studio ai nostri giorni (dette Generazione III di celle fotovoltaiche):
- Celle multigiunzione: realizzate tramite più strati che permettono di assorbire fotoni a diverse energie, riducono le perdite.
- Celle a concentrazione: tramite una sorta di cono a testa in giù, la cui punta è collocata al centro della cella, si concentrano i raggi solari in unico punto, riducendo le perdite per dissipazione del fascio luminoso.
- “Termo celle”: utilizzano il calore prodotto dai fotoni incidenti sulla superficie della cella per aumentare i valori di tensione e corrente che fanno funzionare il componente. Aumenta il rendimento e si usa dell’energia che in qualsiasi altro caso andrebbe persa.
- Polimeri semiconduttori: sono materiali a basso costo di trattamento e produzione, hanno però basse efficienze.
Le celle tradizionali e in buona parte anche le prime tre elencate sopra, vengono realizzate con un materiale che scarseggia sul nostro pianeta e che ha costi molto alti di produzione: il silicio (Si). Per la produzione delle celle fotovoltaiche il materiale deve essere di alta qualità, ha bisogno di alte temperature per essere lavorato, necessita un elevato fabbisogno energetico per funzionare ma ha costi di manodopera decrescenti.
Il silicio può essere cristallino o amorfo, nel primo caso la lavorazione del materiale si articola in una decina di fasi, nella seconda la modifica del minerale ha tempistiche meno consistenti, ma anche rendimenti minori.
Perchè il Perovskite è migliore del Silicio?
Una ricercatrice dell’Istituto Italiano di Tecnologie, Annamaria Petrozza, insieme a un collega dell’università di Oxford, Henry Snaith, ha pubblicato sulla prestigiosa rivista Science uno studio relativo ad un materiale che potrebbe rivoluzionare il mercato delle celle fotovoltaiche: la perovskite.
Materiale scoperto nel lontano 1840 da un esploratore russo nei monti Urali, è un minerale formato da cristalli opachi di forma cubica. Ha una struttura cristallina, formata da un doppio ossido di calcio e titanio. E’ un ottimo conduttore e ha una grande capacità di assorbire la luce, il che lo rende ideale per la realizzazione di nuovi sistemi di trasformazione e trasporto dell’energia.
In particolare la maggior differenza tra silicio e perovskite è che quest’ultima permette alle cariche generate dal fascio di luce incidente, di compiere distanze maggiori al proprio interno rispetto al silicio, in modo da aumentare il tempo di permanenza della carica all’interno del pannello fotoassorbente, garantendo un maggiore accumulo di energia. Questa proprietà permette alle celle di perovskite di essere molto più sottili e compatte di quelle tradizionali.
Per citare dei numeri: ” le cariche generate dalla luce catturata dal pannello viaggiano per distanze maggiori di un micrometro, una distanza enorme nel mondo delle nano-tecnologie. Mentre i pannelli solari in silicio, attualmente utilizzati, hanno uno spessore di circa 180 micrometri, le celle solari in perovskite hanno uno spessore di meno di un micrometro.
Questo è possibile in quanto le celle fatte di questo materiale possono essere realizzate spargendo il pigmento su una lamina di vetro o metallo, utilizzando pochi altri strati di materiali atti a facilitare il movimento degli elettroni attraverso la cella (lo strato che ospita i contatti elettrici).” E tutto per produrre la stessa quantità di energia!
Il saggio del team di ricercatori spiega come, grazie a delle particolari celle ibride, sarà possibile passare a rendimenti superiori fino al 15% rispetto a quelle attualmente in uso. Pensare che nel 2009 le celle in perovskite assumevano valori di efficienza intorno al 3,5%, ci fa capire quanto si è evoluta in fretta questa tecnologia.
L’elemento che maggiormente ha influito su questo eccezionale aumento di prestazioni è la pressione! I risultati degli esperimenti condotti suggeriscono che è possibile incrementare il voltaggio delle celle solari in perovskite applicando una pressione esterna.
Il materiale quando è sottoposto a un’alta pressione registra un incremento della capacità di conduzione degli elettroni. La compressione può essere ottenuta tramite metodi chimici o meccanici. Questa scoperta aumenterà notevolmente il rendimento delle celle tandem (multigiunzione), garantendo la diminuzione della quantità di radiazione solare che si disperde sotto forma di calore e non viene convertita in energia.
Un altro fattore che rende ancor più competitiva questa tecnologia è la recente scoperta che permetterebbe l’autoriparazione in assenza di luce. Per quanto possano essere efficienti infatti, le celle solari sono condannate a subire vari tipi di usura durante il loro funzionamento.
Sembra che la fotodegradazione dei pannelli non sia un danno irreparabile, ma semplicemente reversibile, perché dovuto al semplice accumulo delle cariche, che riducono la fotocorrente. Lasciando per diversi minuti il dispositivo al buio, esso evacuerà le cariche rimaste intrappolate, autorigenerandosi.
Riusciranno quindi i pannelli in perovskite a diventare competitivi in termini di efficienza con quelli in silicio? Se sì, diventeranno obbligatoriamente la tecnologia del futuro, in quanto già oggi sono decisamente più economici!