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La necessità di produrre sempre più energia da fonti rinnovabili ha spinto l’ingegno umano a trovare una soluzione interessante, che non influisce sul territorio circostante e non richiede grande infrastrutture: integrare i pannelli fotovoltaici in strutture già esistenti.
L’idea venne per prima all’ingegnere elettronico americano Scott Brusan che nel 2009 pensò ingegnosamente di creare delle strade trasparenti formate da pannelli solari, stimando che in generale le grandi autostrade sono occupate solo per il 10% del tempo durante una giornata.
Queste speciali vie di comunicazione possono essere costruite dal nulla oppure i pannelli possono essere posti al di sopra dello strato di cemento di una strada qualsiasi. Il progetto fu finanziato inizialmente con ben 100 mila dollari dal Dipartimento dei Trasporti Americano ed è ancora in fase di realizzazione: il primo prototipo è già impiegato per una lunghezza complessiva di 70 km nell’Idaho; un secondo prototipo dalle prestazioni migliorate è stato installato nel novembre 2015. Solar roadways o “strade fotovoltaiche” è il nome che è stato attribuito al progetto.
Ma come funziona e come sono costruiti i pannelli fotovoltaici per la realizzazione di quest’opera?
Ogni pannello è un quadrato di 3,7 metri per lato (larghezza standard delle corsie americane). Ipotizzando un’insolazione giornaliera media di 4 ore e un rendimento del 15% (più basso dei normali pannelli fotovoltaici), un solo pannello potrebbe produrre circa 7,6 chilowattora al giorno, una quantità non trascurabile!
Prendendo questi dati e sapendo che gli Stati Uniti sono coperti per circa 100 mila chilometri quadrati da strade e autostrade, si può capire l’importanza che questo progetto potrebbe avere in termini di produzione di energia se venissero confermate le analisi sperimentali. Ogni miglio di strada porterebbe energia a 500 famiglie, un dato pazzesco.
I pannelli vengono detti a multigiunzione, poiché sono suddivisi in tre diversi livelli:
- Il primo livello è formato da una speciale lega di vetro, traslucida e resistente (in quanto deve essere stabile anche se sollecitata da un peso molto elevato), che permette ai raggi solari di attraversarla, riducendo al minimo le perdite ottiche e termiche.
- Il secondo strato è il pannello fotovoltaico vero e proprio, è in grado di catturare l’energia del sole attraverso i fotoni trasformarla in energia elettrica; è dotato di luci e led che permettono di illuminare la strada, posizionati anche in modo da “disegnare” segnali stradali che devono essere presenti sull’asfalto e sono attivabili anche con un motore ausiliario, in caso di mancanza di luce solare.
- Il terzo strato è composto da materiali impermeabili ed è qua che sono collocati i cavi in grado di distribuire l’energia elettrica prodotta.
Il sogno di Scott Brusan si realizzerebbe se in futuro l’energia elettrica prodotta da tali congegni, fosse recapitata a delle centraline per la ricarica dei motori elettrici delle automobili elettriche sparse per le strade e le autostrade americane.
Ci pensate? Macchine elettriche che si ricaricano con l’energia prodotta dalle “carreggiate solari” su cui esse passano. La Tesla, nota azienda americana interessata allo sviluppo sostenibile si è inserita prepotentemente nel mercato automobilistico, promettendo per il 2020 macchine elettriche dotate di una batteria di accumulo dell’energia che permetterà all’automobile di avere un’autonomia di circa 500 km. Si va tutti nella stessa direzione!
A che problematiche si va incontro?
I problemi relativi a questa tecnologia non sono molti, ma sono importanti: bisogna innanzitutto garantire l’incolumità di ogni singola persona a bordo di ogni singola vettura che passa sopra a una Solar Road.
Il primo strato, a contatto con le ruote degli autoveicoli, dev’essere molto resistente, deve contrastare delle grandi pressioni per pochi secondi, ma ripetute in un arco di tempo molto ampio; deve quindi anche essere resistente all’usura, per proteggere gli strati inferiore che sono più delicati e soggetti ad avere problemi; non deve essere liscio e non deve permettere la formazione di ghiaccio in nessun caso, l’aderenza delle ruote deve essere sempre garantita e per questo esistono delle batterie integrate all’interno della struttura, che con il calore prodotto, permettono un livello di attrito minimo anche in condizioni climatiche avverse.
E’ una tecnologia presente non soltanto negli Stati Uniti: in Italia è in rampa di lancio un progetto per incrementare la presenza dei pannelli solari in strutture già esistenti, in modo da non togliere più spazio al suolo, che può essere ad esempio utilizzato per uso agricolo; la start-up si concentrerà in particolare sugli spartitraffico.
In Francia, dopo 5 anni di ricerche, si spera di dare vita a circa 1000 km di Solar Road tramite il progetto denominato “Watt Way”; oltre ad usufruire dell’energia proveniente dai raggi solari, si spera di poter utilizzare anche l’energia cinetica ricavata dal passaggio delle macchine sopra i pannelli.
Un interessante esperimento da cui i ricercatori di questa nuova tecnologia possono attingere dati interessanti riguarda una pista ciclabile “solare” a Zaanstad (Olanda), che, a un anno dalla sua realizzazione, ha sorpreso tutti producendo più energia di quella che era stata stimata.
Entro il 2050 la richiesta di energia mondiale sarà duplicata; e se fossero le strade a produrre l’energia del futuro? E’ più che una speranza, è una possibilità.