Per chi non lo sapesse, lo Yemen, o più propriamente la Repubblica Unita dello Yemen, è uno stato situato nella punta meridionale della penisola araba. E’ tra i paesi più poveri del Mondo e uno dei più sottosviluppati a livello sociale.
Circa due milioni di persone sono in “situazione di emergenza” secondo la Fews Net e dalle 5 alle 8 milioni soffrono ogni giorno la fame. Ciò è causato indubbiamente da motivi politici, ma anche dal fatto che lo Yemen importa il 90% del cibo che viene consumato sul territorio, ma il principale porto della regione, Hodeida, è stato distrutto in seguito a dei bombardamenti.
E’ infatti in corso nel paese da circa due anni, una guerra civile tra le forze lealiste che lottano per il presidente Abd Rabbo Mansur Hadi e i ribelli houthi. Per affrontare questa grave crisi, che potrebbe causare una vera e propria carestia entro la fine dell’anno, il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ritiene sia necessario un grosso sforzo economico da parte degli stati membri entro Luglio.
La speranza dello Yemen risiede nei pannelli solari
In questo clima di desolazione si intravede però un piccolo segnale di speranza, segno di una crescita innegabile dal punto di vista energetico: l’utilizzo dei pannelli solari. Tutto è nato dalle sempre più frequenti interruzioni del servizio elettrico, dovute all’intensificazione dei conflitti interni.
Secondo un rapporto redatto dall’ufficio stampa dell’ONU: “Due settimane dopo l’inizio degli scontri, Sana’a (la capitale dello Yemen, ndr) era priva di elettricità e la maggior parte delle abitazioni era piombata nell’oscurità. Le famiglie che ne avevano i mezzi si sono quindi munite di generatori a combustibile”.
Dapprima la popolazione si è affidata a soluzioni di fortuna e poi ha cominciato ad acquistare autonomamente questo tipo di tecnologia. A causa dei frequenti blocchi navali imposti dall’Arabia Saudita, la difficoltà nel reperire carburante è diventata sempre più alta.
L’industria petrolifera yemenita è quindi in crisi e gli ingegneri del posto hanno deciso di iniziare a far di testa loro. L’investimento per comprare un singolo pannello solare (che è in grado di illuminare adeguatamente un’abitazione e qualche piccolo apparecchio, ma non di più) non è però alla portata di tutti. Il prezzo di 500 dollari è infatti proibitivo per la maggior parte della popolazione e anche se il governo ha eliminato i diritti doganali sui pannelli per favorire la loro diffusione, in realtà le persone al comando del paese sovvenzionano l’industria petrolifera nazionale e sono inevitabilmente succubi della monarchia saudita.
Durante il Ramadan, il periodo di astensione e preghiera della religione musulmana, gli yemeniti sono soliti stare svegli di notte ed è quindi necessario per loro un surplus di elettricità rispetto agli altri periodi dell’anno. Questo fatto ha consentito alla tecnologia solare di fare un grande passo in avanti nella zona, poiché nella religione musulmana è impensabile astenersi da questa ritualità.
Lo stato arabo è capace attualmente di soddisfare solamente un terzo del suo fabbisogno energetico. Le potenzialità del territorio però sono importanti: tanto sole, venti costanti sul lato occidentale e una discreta geotermia. Come già raccontato però, i cittadini non ne ricavano grossi guadagni, mentre come al solito riescono a essere ricompensati i grandi imprenditori.
Con l’aiuto di capitali stranieri, il governo yemenita puntava addirittura a coprire l’intera richiesta di energia annuale grazie al solare, stimando una potenzialità di produzione sul territorio di circa 50.000 MW. Il progetto, seppur ambizioso, avrebbe potuto realizzarsi nella sua complessità entro qualche anno, non fosse stato per la guerra civile. Il piano energetico nazionale, infatti, prevedeva inizialmente l’installazione di 20.000 pannelli solari, in modo da elettrificare anche le aree rurali. L’instabilità geopolitica gioca chiaramente a sfavore della diffusione delle energie rinnovabili. Per questo la Banca Mondiale ha riconvertito i fondi destinati al finanziamento del più grande di questi progetti (la fattoria del vento di Al Mokha da 60 MW) in modo da risolvere la grande crisi economica del paese.
In questo contesto, solo l’intervento di capitali esterni potrebbe migliorare l’attuale situazione. La speranza del popolo yemenita risiede negli investimenti che l’Arabia Saudita potrebbe realizzare nel loro stato. Il ministro dell’energia, dell’industria e delle risorse minerarie, Khalid A. Al-Falih, ha recentemente affermato che: “L’Arabia Saudita sta lavorando per collegare i suoi progetti di energia rinnovabile con lo Yemen, la Giordania e l’Egitto”. Anche in questo caso il piano è ambizioso e non è dato sapere come e quando verrà realizzato.
Per fortuna, concretamente, si muove la USAID, l’agenzia americana per lo sviluppo internazionale, che ha lanciato delle procedure per ridurre la povertà nelle campagne tramite l’utilizzo di fonti rinnovabili. Ad esempio il programma prevede l’installazione di serre alimentate ad energia solare, in grado di non fare ammalare le piante, ma anche l’espansione di tecniche idroponiche che consentono un risparmio idrico. La produttività dell’agricoltura di certo migliorerà, ma le tecnologie sono costose e difficilmente reperibili in Yemen. Solo la speranza di una fine del conflitto potrà indurre, in chi ne ha il potere, di realizzare qualcosa di buono per questo Stato e le sue persone.