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La bioluminescenza è un fenomeno fisico ancora abbastanza ignoto e, sebbene ovviamente dal termine si possa comprendere che cosa concerne, è spesso arduo capirlo appieno.
Questo è un avvenimento per cui gli organismi viventi emettono luce grazie ad alcune reazioni chimiche nel corso delle quali viene convertita l’energia chimica in energia luminosa. La bioluminescenza è legata per lo più ad alcune specie di organismi marini, ma non solo, dal momento che sono coinvolti anche alcuni insetti e/o coleotteri, come, ad esempio, le lucciole e, per concludere, funghi da cui nascono i fuochi fatui e altra flora terrestre.
Da che cosa è prodotta la luce?
Per quanto riguarda i corpi marini, la luce è emessa da organi produttori di fotoni chiamati fotofori (organi animali) che sono soprattutto presenti:
- Nei pesci
- Nei cefalopodi
- Negli cnidari
- In altri invertebrati
A livello geologico, la luce solare è presente nella zona eufotica (sino a 200 m di profondità), per diventare molto debole nella zona disfotica (sino a 1000 m), profondità a cui pervengono solo le componenti verdi-azzurre, e, infine, scomparire nella zona afotica.
La bioluminescenza marina consente così l’uso del senso della vista agli animali anche là dove la luce è minima o assente.
Sia gli insetti che i pesci e, in generale, gli organismi, sfruttano questo fenomeno:
- Come forma di comunicazione (specialmente la lucciola, con il fine di trovare il compagno adatto)
- Per trovare cibo
- Per attrarre le prede (facendo un po’ da esca luminosa)
- Per camuffarsi
- Per difendersi (magari abbagliando l’avversario)
- Per quanto riguarda i funghi, per attirare insetti che spargono spore funginee
In che cosa consiste la bioluminescenza?
Alla base del fenomeno vi è il fatto che gli elettroni di alcune molecole, se eccitate dalla radiazione luminosa, ritornando nella loro orbita stazionaria –in altre parole nello stato fondamentale- emettono parte dell’energia sotto forma di fotoni.
Dal momento che i meccanismi di emissione della luce sono tra i più svariati e cambiano a seconda degli organismi viventi, secondo il parere di studiosi biochimici tale proprietà si sarebbe sviluppata in maniera indipendente nei diversi gruppi biologici.
La bioluminescenza implica il coinvolgimento di almeno due composti chimici: un substrato organico che emette la luce, chiamato luciferina, e un enzima catalizzatore (che serve ad abbassare l’energia di attivazione della reazione) chiamato luciferasi.
La luciferasi, in presenza di ATP e di altre sostanze come il magnesio, cede elettroni che, “saltando” in un orbitale ad energia minore, liberano luce.
Come può diventare una tecnologia sostenibile?
Il mondo scientifico, così come riporta Eni, sta ottenendo dei buoni risultati nella ricerca per poter sviluppare questa tecnologia, ma c’è ancora il grosso problema di aumentare sia l’efficienza che la qualità della fonte luminosa prima di poterla immettere sul mercato con il fine di poterla rendere un’alternativa –green- all’illuminazione sia pubblica che privata.
Lo studio tecnologico che è effettuato da chimici, biologi, biotecnologi e ingegneri biochimici, si basa sui batteri luminescenti che vivono in simbiosi con i calamari.
Infatti, viene creata una coltura batterica all’interno di un guscio di materiale trasparente in cui sono presenti i nutrienti che sono necessari per la sopravvivenza e per la produzione dell’oro luminoso: la luce.
La principale azienda nel mercato che si occupa di tale ricerca è la star-up parigina Glowee e al momento il massimo risultato che è stato possibile raggiungere è quello di ottenere la luce costante per tre giorni.
Tuttavia, è stato posto l’obiettivo di riuscire -entro quest’anno- a realizzare luce per un mese consecutivo cercando, al tempo stesso, di migliorare sempre di più la qualità della luce.
Che applicazioni ci possono essere?
Le applicazioni che in futuro potranno essere utilizzate sono molteplici.
Infatti, si potranno illuminare:
- Edifici
- Parcheggi
- Vetrine
- Opere architettoniche
Tutto questo, ovviamente, porta a notevoli vantaggi per l’ambiente poiché comporta, cosa estremamente importante, la riduzione del consumo di energia (anche a parità di richiesta) con una conseguenza diretta della riduzione di emissioni di anidride carbonica, il principale gas ad effetto serra.
In più potrebbe anche rappresentare un’alternativa estremamente valida per le città, gli stati più poveri ed isolati per i quali allacciarsi alla rete elettrica sarebbe sia troppo oneroso dal punto di vista economico che troppo complesso per le infrastrutture a disposizione.
Come già più volte abbiamo evidenziato, nella panoramica mondiale appare ormai evidente la necessità di ridurre gli sprechi di una parte di mondo, specialmente, così come sostiene l’ONU, dinnanzi ad una grossa fetta del nostro pianeta in cui l’elettricità è inesistente.
Si manifesta il bisogno di una luce creativa, sostenibile, economica, che possa aprire la strada ad infinite opportunità. La luce non è solo visibilità, ma è vita, non unicamente in senso fisico (sebbene la fotosintesi sia la base della vita), ma è emancipazione, è l’opportunità di potersi esprimere, è studio, sicurezza, conoscenza.
Forse siamo ormai troppo accecati dalla nostra ricchezza per poter capire la bellezza di poter accendere una lampadina.