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L’obsolescenza programmata esiste da anni nell’ambito dei prodotti di consumo. Con “obsolescenza programmata” si intende il riferimento ad una strategia industriale, la quale limita il ciclo di vita di un dispositivo elettronico a un periodo specifico e di durata limitata.
A cosa serve l’obsolescenza programmata
L’obsolescenza programmata è in pratica un processo pianificato, secondo il quale un dispositivo elettronico come ad esempio un computer, uno smartphone, un elettrodomestico, diventa inutilizzabile, dopo circa un paio di anni dall’acquisto o dalla sua presenza nel mercato.
I consumatori non sono costretti dalle aziende ad acquistare i nuovi prodotti, eppure ciò si verifica, in risposta a determinate condizioni. Un punto su cui le case produttrici fanno leva è quello delle riparazioni. Rendendo queste ultime costose, ecco che dotarsi del prodotto nuovo diventa paradossalmente più vantaggioso, rispetto a recuperare la funzionalità di quello vecchio.
Un’altra questione da non sottovalutare è relativa al concetto di status symbol. Avere gli ultimi modelli usciti, dal design innovativo, dotati di maggiori funzioni e quindi comfort, diventa una necessità a cui non poter rinunciare.
Il prodotto che è status symbol ha la capacità di esercitare una sorta di pressione sociale affinché i consumatori ne entrino in possesso. Un esempio emblematico, negli ultimi anni, è quello degli smartphone.
Ciclicamente ne vengono proposte nuove versioni e le persone tendono a voler rimanere al passo con le ultime uscite, acquistando la più recente, nonostante quella di cui siano in possesso stia magari funzionando ancora perfettamente. Si tratta di avere continuamente “la migliore sul mercato”, “l’ultima versione”.
E’ lecito quindi affermare che le modalità per cui si attua una obsolescenza programmata possono essere anche molto sofisticate, tali da agire sulla psicologia del consumatore.
Alla luce di un simile quadro, è possibile dedurre che il mercato dipende da aziende senza scrupoli che agiscono cinicamente? Da un lato, probabilmente è così, ma dall’altro occorre riconoscere che si tratta di una modalità industriale pienamente in linea con il modello economico capitalista. Ora cerchiamo di approfondire questa affermazione.
Il ricambio di beni di consumo in tempi rapidi offre l’opportunità di accrescere diversi lavori, crea indotto, aumenta i guadagni e quindi di amplia le produzioni stesse. Inoltre l’immissione di merce sempre nuova promuove l’innovazione, la ricerca e finisce per migliorare continuamente la qualità stessa dei prodotti.
Il valore aggiunto dell’ultima versione di un oggetto è sicuramente reale, rispetto alla versione precedente e l’innovazione tecnologica trascina con sé anche il continuo cambiamento del mercato.
Va però sottolineato pure che per una produzione di massa, quindi si parla di oggetti economici, la qualità non sempre è necessariamente migliore. Vi sono anche prodotti costruiti per costare poco, non soltanto per durare poco. In realtà, le nuove strategie industriali offrono a tutti l’opportunità di entrare in possesso del dato oggetto che magari fino a pochi anni prima era proibitivo economicamente, proprio a fronte del fatto che esso avrà una durata limitata.
A dimostrazione di quest’ultimo passaggio, vi è la robustezza dei beni di lusso. Essi hanno un costo notevole e un mercato di nicchia, ma il loro prezzo è giustificato proprio dal fatto che si tratta di prodotti i quali aumentano addirittura il proprio valore, con il passare del tempo. Una obsolescenza programmata nei beni di lusso andrebbe quindi addirittura a screditare il marchio.
Il caso Apple-Samsung
Una delle prime sentenze al mondo, che affrontano il concetto di obsolescenza programmata, ha visto sul bando degli imputati due colossi della tecnologia come Apple e Samsung.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato le due aziende per aver rilevato il loro coinvolgimento in pratiche commerciali scorrette. L’Apple dovrà pagare 10 milioni di euro di multa e la Samsung 5 milioni di euro.
Nel comunicato ufficiale del Garante si afferma che il rilascio di alcuni aggiornamenti del firmware dei cellulari “ha provato gravi disfunzioni e ridotto in modo significativo le prestazioni, in tal modo accelerando il processo di sostituzione degli stessi”.
In pratica, sia Apple che Samsung avrebbero “indotto i consumatori – mediante l’insistente richiesta di effettuare il download e anche in ragione dell’asimmetria informativa esistente rispetto ai produttori – ad installare aggiornamenti su dispositivi non in grado di supportarli adeguatamente, senza fornire adeguate informazioni, né alcun mezzo di ripristino delle originari funzionalità dei prodotti”.
Per quanto riguarda la Apple, si fa riferimento all’insistenza verso i possessori di iPhone6 di installare il sistema operativo iOS 10, sviluppato in occasione dell’iPhone 7, senza però avvisare delle “maggiori richieste di energia del nuovo sistema operativo e dei possibili inconvenienti – quali spegnimenti improvvisi – che tale installazione avrebbe potuto comportare”.
Inoltre Apple “non ha fornito ai consumatori adeguate informazioni circa alcune caratteristiche essenziali delle batterie al litio”. In questo modo i consumatori non avrebbero potuto conservare la piena funzionalità dei dispositivi.
Samsung invece ha proposto l’aggiornamento al sistema operativo Android Marshmallow, ideato per il Note7 del 2016, ai possessori di Note4 risalente al 2014. L’azienda non ha dato però informazioni “dei gravi malfunzionamenti dovuti alle maggiori sollecitazioni dell’hardware” e ha inoltre richiesto “per le riparazioni fuori garanzia connesse a tali malfunzionamenti un elevato costo di riparazione”.